Qualcuno notava giustamente che nel film di Woody Allen Midnight in Paris mancava qualcuno. Bene, a Roma, il week-end del 21-22 gennaio, abbiamo avuto modo di ricreare un salto in pieno giorno al Parigi lacaniano. Passaporto è stata la Giornata organizzata dall’Istituto freudiano: Lacan e il suo tempo per celebrare, seppure in leggero ritardo, il trentesimo anniversario della morte di Jacques Lacan.
Presentata da Sergio Sabbatini (SLP), presieduta la mattina da Felice Cimatti (Università della Calabria) e il pomeriggio da Stefano Velotti (Università di Roma), conclusioni a carico di Antonio Di Ciaccia (SLP), la giornata ha visto succedersi in lucidi incontri, animati  da Docenti universitari e dell’Istituto freudiano, quattro tavole rotonde per approfondire i legami che hanno vincolato Lacan a  Kojève, Merleau-Ponty, de Saussure, il gruppo Bourbaki, Derrida, Bataille, Sartre e Lévi-Strauss.  Docenti di spicco hanno dato il loro contributo specifico per creare un concerto che ha permesso di cogliere la particolarità di tali legami. Alla prima tavola, moderata da Luisella Mambrini (SLP), Paolo Vinci (Università di Roma) ha parlato di Kojève, il Maestro, mentre Alfredo Zenoni (ECF e Docente della Séction clinique de Bruxelles) ci ha presentato Merleau-Ponty, l’amico. Cristina Cimino (IPA e Università di Roma) ha portato una questione a partire da Derrida, Rocco Ronchi (Università dell’Aquila) ci ha introdotto a un intrigante Bataille. A moderare questa tavola, Alex Pagliardini (ex-allievo dell’Istituto freudiano). Amelia Barbui (SLP) ha coordinato la seconda tavola dove Sergio Benvenuto (CNR) ha proposto un de Saussure al rovescio e Sergio Sabbatini ha sollevato la precoce novità della struttura nel gruppo Bourbaki.  Nell’ultima tavola rotonda Marcella D’Abbiero (Professore emerito dell’Università di Roma) ci ha parlato di Sartre e il desiderio, mentre Carmelo  Licitra-Rosa (SLP) ha illustrato il binomio Lacan Lévi-Strauss sulla scia del pensiero selvaggio, avendo come moderatore Fulvio Sorge (SLP). A proposito del bordo-solco aperto con la Causa freudiana in questi campi, si parlava di Lacan come di colui che trascina nella psicoanalisi strumenti forgiati altrove, quasi come un rapinatore: splendida raffigurazione che non nasconde il versante del rapimento lacaniano e l’uso che nel suo insegnamento egli fa della convergenza. In effetti Lacan adopera la convergenza sovvertendo ogni spazio apparentemente continuo tra psicoanalisi e letteratura: la pratica della lettera converge con l’uso dell’inconscio. Un limite alla continuità nella successione, una radicale eterogeneità che sovverte i campi, una procedura che d’altronde vedrà entrare i nodi, che meglio si prestano a praticare singolari articolazioni. E’ quanto Lacan stesso dimostra nel suo Omaggio a M. Duras.  L’uso del metodo speculativo in Kojève, la personale stima per Merleau-Ponty, l’incontro-scontro con Sartre, l’incontro evitato con Bataille, la spinta a portare de Saussure a torsioni estreme via la Causa freudiana, l’interesse per il gruppo Bourbaki, l’algido incontro-scontro con Derrida, la feconda attenzione a Lévi-Strauss e alla nozione di struttura (fecondo anche il dibattito alla tavola rotonda con Alfredo Zenoni attorno all’evaporazione della struttura, nozione che ha lasciata aperta la questione di quale struttura) insomma anche qui si è fatta luce sulla S’truc-dure, come Jacques-Alain Miller la chiama per segnalare che lì risiede per Lacan un’inconsistenza accessibile soltanto con l’ipotesi freudiana, un’inconsistenza che alberga già nell’ombelico del sogno.  Ecco la svolta lacaniana in atto lungo l’intero suo insegnamento.

 

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